Le offese al superiore gerarchico in una chat privata non costituiscono giusta causa di licenziamento
E’ oramai sempre più attuale che critiche / offese, denigrazioni del datore di lavoro vengano esternate dal dipendente a mezzo dei c.d. “social network” o eventualmente a mezzo “WhatsApp” su una chat privata creata al suo interno di cui fanno parte i colleghi di lavoro e/o responsabili gerarchici del lavoratore.
Come noto ai molti, la giurisprudenza della Corte di Cassazione in passato si è già pronunciata sulla rilevanza del messaggio denigratorio del proprio datore di lavoro che, secondo i giudici di legittimità, ha una portata diffamatoria, e come tale può comportare la sussistenza della giusta causa, nel momento in cui il messaggio medesimo viene pubblicato su un “social network” risultando, pertanto, potenzialmente idoneo a rivolgersi a un pubblico indeterminato di destinatari (Cassazione 10280/2018).
La recente sentenza oggetto dell’odierno commento, emessa dal Tribunale di Firenze, in funzione di Giudice del Lavoro, lo scorso 16 ottobre 2019 concerne invece il caso del lavoratore licenziato per giusta causa per aver rivolto offese a mezzo di messaggi “vocali” riferiti al proprio superiore gerarchico ed altri colleghi di lavoro all’interno della chat “WhatsApp” in cui erano altresì presenti alcuni colleghi del dipendente.
Ebbene, secondo il Tribunale di Firenze, che a sostegno della pronuncia in questione richiama la giurisprudenza della Corte di Cassazione n. 21965 /2018, il fatto in questione non costituisce una giusta causa di licenziamento e quindi tale da legittimare la risoluzione del rapporto di lavoro.
Secondo il giudice, infatti, i messaggi inviati in una chat privata, al contrario del social network, “pur recanti affermazioni diffamatorie e discriminatorie, non sono potenzialmente idonei ad esser veicolati all’esterno”, trattandosi di corrispondenza privata, al contrario di quanto invece accade per le offese, frasi ingiuriose o minacciose pubblicate sui “social network”; queste ultime, infatti, secondo la richiamata giurisprudenza di legittimità, possono integrare l’ipotesi di una giusta causa in quanto presuppongono l’astratta possibilità di essere divulgate ad un numero indeterminato di persone, tali quindi, da assumere potenziale carattere diffamatorio.
A parere dello scrivente, la sentenza in questione sarà, ma già lo è tuttora, oggetto di un lungo dibattito.
In effetti il fatto contestato, ovvero l’aver offeso il superiore gerarchico o il collega di lavoro in una chat privata, seppur veicolato in un canale chiuso e come tale non suscettibile di essere divulgato all’esterno, comunque sussiste e, pertanto, può astrattamente assumere rilevanza ai fini di una eventuale contestazione disciplinare e del conseguente provvedimento sanzionatorio.
Resta quindi da capire se in futuro la giurisprudenza modificherà il proprio orientamento in merito a tali tipi di condotte.
Avv. Alberto Caravella, membro della Commissione Diritto del Lavoro di AGAM.