DPCM illegittimi ? La sentenza n. 54 del 27/1/2021 del Tribunale di Reggio Emilia: alcune riflessioni.
Una sentenza destinata a far discutere quella del G.i.p. del Tribunale di Reggio Emilia del 27 gennaio scorso.
I fatti oggetto della sentenza di cui sopra risalgono al 13 marzo 2020 quando, nel pieno del primo lockdown, una coppia della provincia di Reggio Emilia sorpresa fuori casa dai Carabinieri fornisce ai militari un’autocertificazione non veritiera. La donna aveva riferito di essersi dovuta recare in ospedale a Correggio per degli esami e che l’uomo l’aveva accompagnata. Una verifica dell’Arma aveva però appurato che non c’era stato alcun accesso alla struttura sanitaria.
Immediata la denuncia e la richiesta da parte del Pm di un decreto penale di condanna, poi rigettato dal G.i.p. che ha pronunciato una sentenza di proscioglimento perché il fatto non costituisce reato.
Nella motivazione il Giudice sottolinea in premessa la “indiscutibile illegittimità del Dpcm del 8.3.2020”, disposizione che “stabilendo un divieto generale e assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni, configura un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare“. Tuttavia, prosegue la sentenza, “nel nostro ordinamento giuridico, l’obbligo di permanenza domiciliare consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale che viene irrogata dal giudice penale per alcuni reati all’esito del giudizio (o in via cautelare, in una misura di custodia cautelare disposta dal giudice, nella ricorrenza di rigidi presupposti di legge) e in ogni caso nel rispetto del diritto di difesa”.
I Dpcm sono allora illegittimi ?
Sì, almeno secondo il G.i.p. del Tribunale di Reggio Emilia. Lo si evince dall’articolo 13 della Costituzione, il quale vieta proprio le limitazioni alle libertà personali, se non con atto motivato dall’autorità giudiziaria.
Da questo principio il Giudice desume due corollari. Il primo “è che un Dpcm non può disporre alcuna limitazione della libertà personale, trattandosi di fonte meramente regolamentare di rango secondario e non già di un atto normativo avente forza di legge”. Il secondo corollario è invece quello secondo il quale “neppure una legge (o un atto normativo avente forza di legge, qual è il decreto-legge) potrebbe prevedere in via generale e astratta, nel nostro ordinamento, l’obbligo della permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità indeterminata di cittadini, posto che l’articolo 13 della Costituzione postula una doppia riserva, di legge e di giurisdizione, implicando necessariamente un provvedimento individuale, diretto dunque nei confronti di uno specifico soggetto”. In terzo luogo, “poiché trattasi di un Dpcm, cioè di un atto amministrativo, il giudice ordinario non deve rimettere la questione dì legittimità costituzionale alla Corte costituzionale, ma deve procedere, direttamente, alla disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo”.
Va detto però che diversi giuristi ritengono la legittimità dei Dpcm si fondi sull’articolo 16 della Costituzione, secondo cui la libertà di movimento può essere ridotta dalla legge per motivi di sanità o di sicurezza. In sostanza, sostengono alcuni, le prescrizioni dei vari Dpcm anti-Covid sarebbero una limitazione della libertà di circolazione e non della libertà personale, dunque pienamente legittima e costituzionale.
Il giudice De Luca, però, ribadisce sul punto nella sentenza in commento che “la libertà di circolazione riguarda i limiti di accesso a determinati luoghi, come ad esempio l’affermato divieto di accedere ad alcune zone circoscritte che sarebbero infette, ma giammai può comportare un obbligo di permanenza domiciliare”. Inoltre, quando il divieto di spostamento è assoluto, come nel caso del Dpcm, “in cui si prevede che il cittadino non può recarsi in nessun luogo al di fuori della propria abitazione”, allora è “indiscutibile che si versi in chiara e illegittima limitazione della libertà personale”.
La pensa diversamente il professor Enzo Balboni, ordinario di diritto Costituzionale all’Università Cattolica di Milano, che intervistato da “LaPresse” spiega: “Adesso si andrà davanti alla Corte Costituzionale – dice – la presidenza del Consiglio dei Ministri si costituirà in giudizio e vediamo la Corte cosa deciderà. Se dovessi scommettere qualcosa, scommetterei sul fatto che il Dpcm alla fine verrà considerato legittimo”. “A mio avviso – sottolinea il di 2 4 professor Balboni – a che cosa è ‘appeso’ il Dpcm in tema costituzionale è un problema che è stato risolto. Un appiglio di cui il governo si fa garante c’è”.
Già, perché adesso tutta la questione si gioca sul decreto legge “di copertura” ai Dpcm e che gli fa da scudo in quanto garantisce la loro legittimazione parlamentare, sia pur successiva, al momento della conversione in legge. La “copertura” delle misure di restrizioni è ufficialmente arrivata con il decreto legge n. 19 del 25 marzo 2020 con cui, di fatto, i Dpcm del Governo sono stati traslati dentro il corpo del provvedimento d’urgenza e autorizzati con il voto alle due Camere.
Non manca, però, chi fa risalire la copertura dei Dpcm al primo decreto legge emergenziale del 26 febbraio 2020, convertito nella Legge n. 13 del 5 marzo 2020, con cui si autorizzava il Governo ad adottare misure di contenimento dell’epidemia attraverso il ricorso a decreti del Presidente del Consiglio. Il decreto-legge n. 6 del 2020, dopo aver previsto nel dettaglio all’art. 1 tutta una serie di misure, anche limitative di diritti, all’art. 3, conferisce il potere di darne attuazione, tra gli altri atti, attraverso uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri .
Una parte della dottrina sottolinea, infatti, a sostegno della legittimità delle misure adottate dal Governo, che i Dpcm sono stati autorizzati prima dal decreto-legge n. 6/2020 e poi dal più puntuale decreto-legge n. 19/2020, quindi trovano in tali strumenti la fonte di legittimazione e la valenza democratica la cui mancanza viene loro contestata.
Volendo quindi azzardare una conclusione potrebbe essere opportuna una riflessione sull’adeguatezza degli strumenti che la nostra Costituzione mette a disposizione per affrontare gli stati di emergenza.
In Italia, come noto, per ragioni storiche, si è volutamente esclusa la disciplina in Costituzione degli stati di emergenza, ritenendo sufficiente la disciplina prevista dall’art. 78 Cost. sull’emergenza bellica, ma che oggi non pare utilizzabile per il contrasto dell’emergenza virale in corso.
L’unico altro strumento espressamente connesso a situazioni eccezionali che la Costituzione del ’48 prevede è quello della decretazione d’urgenza di cui all’art. 77.
Un rafforzamento, accompagnato a una loro precisa definizione e delimitazione, degli strumenti di gestione delle emergenze, potrebbe forse diminuire l’incertezza che attualmente circonda la legittimità del ricorso al decreto-legge per le limitazioni al godimento di diritti e libertà costituzionali. Tuttavia, come autorevolmente sostenuto, “qualsiasi riflessione si farà, sarà comunque necessario tenere in considerazione la forza dei fatti, o meglio la potenza formidabile dell’emergenza che difficilmente si lascia imbrigliare nelle predefinite forme del diritto” .
Avv. Silvia Gatto